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Un “conventino” con tanti interrogativi.

Foto by Mario Valente

Un nuovo libro di Francesco Carozza di prossima uscita cerca di svelare i molteplici segreti che si celano dietro al Santuario più amato dai Gambatesani: il Santuario di Maria Santissima della Vittoria.

La Cappella della Madonna della Vittoria in Gambatesa, come spesso accade a quei luoghi che, pur evocando nobili origini non sono più in grado di dimostralo, interroga l’odierno cultore di storia locale con i suoi tanti interrogativi e le sue numerose incertezze.
Il primo interrogativo viene dal suo stesso titolo di dedicazione: vittoria. A quale vittoria ci si riferisce? A quale evento di portata storica potrà mai essere associato un piccolo e periferico santuario rurale?
Se si trattasse di una vittoria spirituale, non ci sarebbero problemi, anzi sarebbe coerente con la sua natura di centro di devozione e di culto, ma il dubbio, paradossalmente, sono proprio le fonti storiche a sollevarlo.

La “platea” della visita canonica fatta dal card. Orsini nel XVIII secolo fa riferimento a una importante vittoria militare di Federico Barbarossa. Il documento è autorevole, ma non ha mai lasciato soddisfatto lo studioso.

Il primo a non esserne soddisfatto fu il primo ricercatore sul tema: Mons. Donato Venditti che, non solo contestò l’attribuzione a Federico Barbarossa attribuendola, invece, al nipote Federico II di Svevia, ma la relegò addirittura al semplice rango di “una pia e costante tradizione”.

Se la sua fondazione è, dunque, da far risalire al XIII secolo, da chi era officiata la Cappella? Il “conventino” che esisteva lì accanto che rilevanza aveva?
Apparteneva a un importante ordine religioso?
Era inserito in un movimento più ampio o era relegato in un ristretto ambito locale?
Sappiamo, dalla “platea”, che, nel XVI secolo, apparteneva ai Canonici Regolari Lateranensi, tuttavia, non vi sono certezze che vi appartenesse fin dal principio.

Un altro aspetto importante, e che non è bene trascurare, è il territorio su cui insiste.
Le presenze religiose in quelle contrade sono molte ed è la stessa toponomastica a tramandarne la memoria.
La toponomastica è, infatti, non solo molto ricca, ma è anche molto varia. Accanto a San Barbato e a San Nicolò della Vipera vi sono, fra le altre, anche San Mauro o C.da Santissimo Sacramento, mentre coesistono ancora “toppo” della vipera e “toppo” della Salandra”, che sono chiaramente evocativi di culti più antichi e precristiani.

Un’ultima questione resta irrisolta: che significato ha il simbolo scolpito sullo stipite del portale d’ingresso? I recenti restauri ne hanno riportato alla luce anche altri sulla facciata del Santuario e sulla fontana a valle della stesso. Possibile che siano solo lo scherzo di qualche scalpellino o di qualche devoto che ha voluto lasciare un segno, ormai, incomprensibile? La loro collocazione (lo stipite destro e la chiave di volta della cisterna) inducono a credere che non siano né casuali, né privi di significato, ma che siano, invece, delle vere e proprie firme, dei sigilli di appartenenza che dovevano essere molto chiari all’epoca, ma che noi, oggi, non riusciamo più a decodificare.

A tutte queste domande si è tentato di dare risposta in un libro di prossima pubblicazione. Il metodo seguito dal suo autore, Francesco Carozza, è stato quello induttivo.
Si è partiti dai fatti, dalle fonti e dagli indizi e, intorno ad essi, si è ragionato e argomentato. Per farlo è stato necessario spogliarsi di inutili preconcetti o timori ed è stato necessario spingersi oltre le apparenze o i ristretti confini del nostro territorio.

Gli archivi hanno consentito di dare adeguate risposte a tutti i dubbi di partenza e, seppur a costo di qualche apparente rinuncia, i risultati gettano una luce più luminosa e più gloriosa su questo che, certamente, è solo un piccolo santuario rurale, ma è anche un grande centro di affetti, di devozione e di identificazione di una comunità.

Le risultanze delle ricerche sono abbondantemente riportate nelle pagine del libro. Per espressa volontà dell’autore, vengono messe a disposizione di tutti affinchè, come spera lo stesso Carozza, altri possano indagare oltre per giungere ad ulteriori e interessanti scoperte.

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